Finalmente, nella nostra carciofaia (una ventina di piante) sono arrivati i carciofi
Lo so che a maggio, ormai, nei negozi si trovano pochi carciofi . . . più che altro i piccoletti, quelli da mettere sott’olio. Ma per motivi di micro clima, di esposizione, di tipo di carciofo o di pigrizia colpevole, i carciofi , qui da noi nella carciofaia lungo il torrente, “arrivano” solo a maggio . . . ma sono buoni. Sono quasi tutti del tipo cosiddetto “Romanesco”, comunemente conosciuto come “Mammola”
I primi, quelli centrali, sono grossi come un bel pompelmo e svettano su un gambo lungo. Poi ci sono i due laterali, grandi come un arancia e dal gambo che cresce per sbieco (come la lancia e il bastone della spugna intrisa di acqua e aceto che a volte sono ai lati del crocefisso in certi quadri o in certi angoli delle strade, ricordi di tempi andati) e infine, altri 4, piccoli che nascono nelle ascelle delle foglie, con un gambo corto corto . . .
Sappiamo tutti che i carciofi in sé non sono verdura, ma boccioli. Boccioli di una pianta che è imparentata col cardo selvatico. Che se poi li lasciate lì (come faccio io di solito con i più piccini fra gli ultimi nati) sulla pianta e li lasciate crescere vi allieteranno con una fioritura blu/violetta che ogni anno mi affascina. Da piccoli boccioli, parlo di carciofini con i “cuori” non più grandi dell’imboccatura di una bottiglia di plastica di una qualsiasi bibita, nascerà un fiore grande quanto il palmo della mano, pieno di fili colorati . . . davvero “le meraviglie della natura”!
Come consumare i carciofi? A parte crudi in pinzimonio (o crudi al naturale, come faccio io che ne sono ghiotta).
Be’, in casa mia nel modo più semplice . . . aglio prezzemolo e olio, i carciofi puliti e mondati, tutto in pentola (a pressione) con un po’ d’aqua per non fare che bruci il tutto . . . poco il tempo di cottura, perché colti e puliti sono teneri . . .
Se avanzassero (se) metteteli in una padellina o in una teglietta col loro “brodo” e un filo d’olio, con sopra prosciutto cotto e formaggio filante (io trovo che la mozzarella o la scamorza siano i più indicati, ma se lo volete più “light” potete spolverare solo con grana o altri formaggi semiduri a secondo del vostro gusto) . . . qualche momento sul gas col coperchio o nel forno senza coperchio e, in pochi minuti, un gustoso secondo da mangiare “puciando” con una fetta di pane il fondo di cottura.
Se il nostro ortolano ha lavorato bene, potrebbe capitare che siano pronte le prime zucchine (le prime 2 o 3 per pianta vanno tolte quando sono grandi come un dito medio, la pianta produrrà altre zucchine, altrimenti pensa di aver fatto la sua parte e, dopo queste prime zucchine non ne farà altre, parola della Suocera) nel frattempo che sono arrivati i carciofi . . . prendete le zucchine, pulitele bene e graffiate un po’ la buccia, tagliatele a fettine sottili per la lunghezza. Fate lo stesso con i carciofi, usando solo il cuore e le foglie più interne. Aggiungete scaglie di parmigiano, qualche fettina di cipolla o cetriolo o sedano o funghi o tutto questo insieme . . . secondo i sapori che vi piacciono di più. Olio, sale e una spruzzata di pepe a vostro gusto. Uno stuzzichevole aperitivo, antipasto o insalatina da unire a un formaggio saporito.
Ma qual’è la storia dei carciofi in cucina??? Io ho sempre pensato che, nell’antichità qualcuno (in montagna) avesse scelto qualche cardo più grosso e avesse iniziato a coltivarli . . . in un estate in colonia, ragazzi e ragazze più grandi ci avevano insegnato a mangiare (crudo) il cuore dei cardi . . . poi, una rapida ricerca con Google mi ha istruita (“Nessuna giornata in cui si è imparato qualcosa è andata persa.” David Edding)
Originario del Medioriente, il carciofo selvatico ha costituito fin dall’antichità un prodotto importante per gli Egizi e i Greci, ma pare che altrettanto antico sia il suo impiego nella cucina.
Già nel IV sec. a.C. era coltivato dagli Arabi che lo chiamavano “karshuf” (o kharshaf), da cui l’attuale termine.
L’uso di una qualche varietà di carciofo selvatico nella cucina romana è ricordata da Columella, che chiamandolo col nome latino di Cynara, conferma come a quel tempo si usasse consumare quella pianta sia a scopo medicinale che alimentare.
Nel “De re coquinaria” di Apicio, si parla anche di cuori di cynara che, a quanto pare, i Romani apprezzavano lessati in acqua o vino.
La coltivazione del carciofo da noi conosciuto venne introdotta in Europa dagli Arabi sin dal ‘300 poi, nel ‘400, dopo vari innesti, dalle zone di Napoli si diffuse prima in Toscana, e successivamente in molte altre regioni.
Nella pittura rinascimentale italiana, il carciofo è rappresentato in diversi quadri: di “L’ortolana” di Vincenzo Campi, L’estate” e “Vertumnus” di Arcimboldo.