Se cercate con Google “il popolo del. . . “, ne trovate un sacco:
Il popolo della notte
Il popolo del blues
Il popolo del mare
Il popolo della vita
Il popolo del tappeto
Il popolo del fiume
e persino Il popolo dell’autunno
Ma non troverete niente riguardo al “Popolo del Mattino” . . . e a questo metterò rimedio io . . .
È da più di un anno che, sporadicamente, frequento il popolo del mattino o per meglio dire, uno dei popoli del mattino . . . ho deciso che vi voglio raccontare qualcosa su di loro. Anzi, vi dirò di più, penso che molta gente che conosco e qualcuno di quelli che appaiono nella cronaca dei giornali dovrebbero frequentare questi posti, in certe ore . . .
Sono di solito in coppia, a volte è un trio . . . rari quelli che girano in quattro. Sono di età diverse, generazioni diverse. Non sempre usano linguaggi comuni, eppure si capiscono benissimo. Sono tutti sorrisi e sbaciucchiamenti, ma non mancano musi lunghi e capricci. Quasi sempre ancora un po’ di sonno negli occhi. Occhi dolci, preoccupati, ridenti, nervosi, gioiosi, profondi.
I più giovani si conoscono e si riconoscono, spesso si abbracciano e festeggiano come se fosse da tanto che non si incontrano. Gli adulti che li accompagnano chiacchierano tra loro, si danno consigli, scambiano opinioni. Se possono parlano di altro che non riguarda né il luogo in cui si trovano né il perché sono lì, ma se parlano del perché si trovano lì, le esperienze sono simili e i consigli tanti.
Ci sono quelli che arrivano più presto (intorno alle 8), ci sono quelli che entrano al 2° turno, ma è sempre presto.
Ma non ci sono solo loro, ci sono anche quelli che li aspettano: gentili, sorridenti, simpatici, precisi, molto preparati e sempre disponibili ad ascoltare o a perdere quel attimo per scambiare due parole con loro o con chi li accompagna.
Vanno in posti dove ci sono stanze allegre, colori, disegni, giochi . . . e tante persone preparate per “giocare”, persone che elargiscono tanti sorrisi. Sempre! Ai grandi e ai piccini.
Tutte le mattine, come gli ormai noti leone e gazzella della savana, un piccolo esercito di bambini e di genitori, zii o nonni (a secondo del bisogno), si sveglia e si prepara, esce di casa e arriva al “Centro” dove si fanno le terapie: Psicomotricità, Logopedia, Fisioterapia, Psicologia, Ortottica e molte altre che non conosco.
È ormai un anno che, sporadicamente, accompagno FigliaGrande e il PiccoloLord alle terapie che lo aiutano a superare il suo problema col linguaggio. Io faccio parte di quella minoranza che, mentre aspetta che passino i 40 minuti circa della seduta, lavora a maglia e/o a uncinetto. Ma, mentre lavoro o scambio due chiacchiere con la FigliaGrande, mi guardo intorno e osservo gli altri.
I bambini che devono sottoporsi alle terapie: bambini con la sindrome di Down, bambini in carrozzella, bambini adottati che arrivano dagli orfanotrofi dell’est, quelli bellissimi e vivaci, ma con problemi di deambulazione, quelli che sorridono e non sanno come altro esprimersi, quelli che fai fatica a capire cosa hanno e poi, da qualche indizio o da sussurri tra mamme, scopri che soffrono di quello che adesso vengono chiamati “disturbi specifici dell’apprendimento” e una volta venivano liquidati dagli insegnanti come “ha le capacità, ma non si applica”. E poi, i fratelli e fratellini (quando non è possibile lasciarli a casa o non vanno a scuola), i papà (attenti e amorevoli, tutto il contrario di quelli delle pubblicità e dei telefilm), nonni, zii e le mamme, per le mamme ci vorrebbe un post a parte.
Tutte persone che si muovono di buon mattino, per fare in modo che il bambino interessato alle terapie perda meno ore possibili di scuola (di solito quella materna).
In questo anno di frequentazione, ho visto anche gli adulti (più spesso anziani), che però, nella maggioranza dei casi arrivano più tardi, arrivano soli o accompagnati, chi sulla sedia a rotelle, chi con le stampelle, chi invece al braccio del marito (anziano pure lui) o delle loro accompagnatrici. Non distingui, se non per qualche rassomiglianza, le figlie dalle nuore, c’è un’attenzione per il malato che fa bene al cuore. (Se poi lo fanno solo per noi, pubblico forzato, non lo so).
Questo post mi gira nella testa da qualche settimana, un riconoscimento a queste persone che hanno scelto una professione così complicata e così importante (per citare uno slogan che ho trovato in rete “persone per servire persone”). Un riconoscimento agli adulti (familiari e amici) che girano intorno ai bambini con problemi di disabilità (dal minimo al massimo della disabilità, ma non c’è una graduatoria) e li accudiscono con amore e costanza. Un riconoscimento a questi bambini, che, non lo sanno, ma sono bravi e si impegnano oltre quello che è il massimo e ottengono dei risultati sorprendenti (ho sentito parlare di “miracoli”), oltre ogni aspettativa.