Facciamo finta che . . .

Facciamo finta che . . .
Che non ho avuto un periodo natalizio (che corrispondeva preciso preciso con le vacanze scolastiche) molto pieno
Pieno di persone incontrate, con piacere
Pieno di cose da fare in casa e fuori casa
Pieno di novità, nuovi incontri e nuove tradizioni
Pieno di Pensieri e Parole (scritti nei libri),
Pieno di progetti per l’anno nuovo . . . di cui mi dilungherò un altro giorno
Pieno di tempo sospeso, tanto sospeso che mi svegliavo ogni mattina come se fosse sempre “domenica” . . .

Poi, stamattina, su un canale Tv di notizie, ho sentito la poesia che ho messo qua sotto, poesia di un poeta che mi piace da anni, ma di cui non conosco tutte le poesie. Ogni tanto mi inciampo in una delle sue e mi dico: “Ma guarda sono pensieri che ho anch’io, ma scritti con così belle parole che me le devo segnare”.
Facendo finta che oggi sia il primo giorno dell’anno (come in effetti mi sembra)

Il primo giorno dell’anno  (di Pablo Neruda)

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte lo andiamo a ricevere
come se fosse un esploratore
che scende da una stella.

Come il pane assomiglia al pane di ieri.
Come un anello a tutti gli anelli.
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà con frecce di trasparente pioggia
e poi, lo avvolgerà nell’ombra.

Così è:
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire, a sperare.

Ci stiamo forse gattizzando?

Questa famiglia si sta gattizzando . . . e io mi sto preoccupando!

Fiordicactus, qui presente, è sempre stata più amante di cani che di gatti . . . lo ammetto!

Per quanto ricordi ogni tanto nella mia vita sono entrati cuccioli, a volte di razza a volte ibridi, sempre regalati e in alcuni casi, simpatici “vagabondi” che si trovavano bene a casa e ci adottavano.

Certo, i cuccioli hanno sempre creato problemi . . . ricordo, avevo 8/9 anni, una cokerina molto attiva che in una settimana ridusse a brandelli i calzini di chiunque non si ricordasse della sua presenza e non li mettesse in salvo e, nello stesso periodo, rosicchiò i primi 20 cm delle “gambe” di 6 sedie di legno . . . quando si fu abituata a comportarsi bene, fu portata via dalla zia di Milano e poi trasferita a Roma.

Ci furono di quelli che passarono come meteore: ricordo Lola, una cuccioletta di razza imprecisata. Ci giocammo, la coccolammo e la curammo, per i 3 mesi (circa) di un’estate di tanti anni fa, in montagna. Poi si doveva tornare in città e venne regalata a chi ci aveva ospitato . . . la rivediamo ogni tanto, nel filmino di famiglia fatto quell’estate.

Ultimamente è morto il nostro cane più vecchio (circa 16 anni) chiamato Pik (Piccolo).

Era stato trovato, anni fa, ferito e spaventato nel cortile di un’azienda e affidato alla FigliaGrande, che dopo averlo portato dal veterinario per le cure si era sentita dire di tenerlo in casa in attesa di qualcuno che ne denunciasse la sparizione . . . dopo qualche settimana le dissero che o lo teneva lei o lo avrebbero portato al canile municipale.
Inutile spiegarvi che ormai ci si era affezionata e lo portò di nuovo dal Veterinario per fargli mettere il “chip” che ne certifica il possesso.

Era da qualche mese che, guardando fuori dalle finestre, notavamo dei gatti che passeggiavano in cortile o nella giungla che chiamano giardino e che giocavano tra le zolle nell’orto, ma anche Pik e Bella li tenevano d’occhio. qualche volta, comprensibilmente, se erano fuori, li rincorrevano . . . e non li prendevano mai!

Ora che Pik, grosso meticcio di labrador, vecchio ma odiatore seriale di gatti, non c’è più, FigliaGrande e MyLord, adolescente, hanno deciso che i gatti vagabondi hanno bisogno di aiuto. Nell’orto e nella giungla che chiamano giardino sono apparsi piatti (compostabili) che contengono un sasso (per non volare via) e delle crocchette per gatti . . . e i gatti ringraziano.
L’altro giorno ero in cucina, butto l’occhio fuori dalla portafinestra e, appena un passo indietro dalla soglia, ecco uno dei gatti che mi guardava . . . deve aver capito che non sono “gattara”, si è girato e allontanato con la coda alta e dritta non prima di avermi lanciato uno sguardo altero! Da vero gatto siamese com’è! Chissà da che casa è scappato . . . 

Le foto, se mai le riusciremo a fare, più in là . . . questi gatti mangiano le nostre crocchette, ma sono ancora diffidenti.




“Un operaio del cuore” (*)

Ogni volta che ti imbatti in una persona gentile

ti trovi davanti a uno sforzo strabiliante,

un impegno immane,

hai davanti una persona che lavora su di sé

continuamente,

un operaio del cuore

che fa i turni di notte a nome di tutti

sei davanti a una persona che non si sfugge mai,

che riesce a mettere cura

anche nella sua distrazione,

che ha imparato a provocare silenzio

quando le viene offerta

una provocazione

ricorda che hai di fronte

una storia piena di storie,

passeggiate lunghissime tra le campagne di paesi

che nemmeno sappiamo pronunciare,

hai davanti a te, una persona

che non teme la solitudine,

che ha imparato a stare da sola

a farsi isola

a farsi sole

che ha fatto della sua pausa

un’ancora di salvezza

che ha fatto della sua salvezza

un’ancora per gli altri

ti trovi davanti

a chi ha conosciuto la disperazione di persona

ma non si è disperata,

che si è disparata da tutti, dispersa ovunque,

dipesa da nessuno, dispensa del mondo

ogni volta che ti imbatti in una persona gentile

ringrazia la vita

brinda all’universo

inchinati al sole

inventa una domenica

organizza una festa

ti trovi davanti a un’opera d’arte

estremamente fragile

come la tela di un dipinto,

decisamente immortale

come un dipinto.

[Gio Evan]

(*) Non so il titolo, ma l’immagine di “operaio del cuore” è quella che mi è piaciuta!
Se l’Autore dovesse farmi sapere il titolo, lo cambierò . . .

Non ricordo . . .

Lo trovi seduto sul letto, di notte . . . gli chiedi: “Cosa devi fare?” e la risposta è “Non ricordo!”
Sta a tavola, mangia tutto e, poi, con le posate in mano, ti guarda e dice: “Non ricordo, cosa devo fare adesso?”

Non sta perdendo solo i ricordi lontani i volti, i nomi, le parentele, i luoghi del cuore
Sta perdendo anche i ricordi del vivere, di cosa fare, del come si fa
Tranne quello di insediarsi sulla sedia a rotelle e spingersi dalla camera al corridoio

C’è un’unica cosa positiva in questo “non ricordo” . . . la scoperta
Ogni mattina, si alza e guarda fuori dalla finestra: “Oh” mi dice “guarda che bello, guarda quante margherite!” e così, ogni volta che per una cosa o per l’altra, ci si avvicina a una finestra . . . e io, lo assecondo sempre, come se fosse la prima volta.
Se guardiamo un film con i suoi attori preferiti (grazie alla Tv che ripesca anche film in bianco e nero), c’è sempre una scena che “devono averla aggiunta, non l’ho mai vista”, se non tutto il film . . . che una volta sapeva a memoria e ora “scopre” per la prima volta
E quando qualcuno lo viene a trovare . . . ci vuole un po’ per stabilire se riconosce o no, ma essendo sempre stato una persona di compagnia, anche se non si ricorda, si può stare certi che i saluti saranno calorosi . . . poi si estrania in altri mondi!

Archiviata anche la Pasqua


Una Pasqua di vero rinnovamento, visto che tutti paiono ansiosi di non pensare al Coronavirus SARS-CoV-. Come se non pensandoci questo scompaia magicamente . . . cosa che la mia logica razionale mi dice di non credere, ma si sa, io sono quella dei “puntini sulle i”

Com’è come non è, questa Pasqua nella nostra Parrocchia hanno deciso che era arrivata l’ora di ricominciare a fare qualcosa per i ragazzi del Catechismo.
L’idea del Parroco è stata una Via Crucis “vivente” . . . che potete guardarvi (intera o come preferite) su YouTube.
MyLord ha impersonato Nicodemo (Nicodemo . . . Nicodemo . . . chi era costui?) che per capire/ricordare chi era ho dovuto chiedere aiuto a Google per non fare la figura della nonna ignorante!
Un bel “costume di scena”, talmente preso dalla parte che si è dimenticato da qualche parte il copricapo. Ma non so quanti dei mooolti che erano in chiesa se ne è accorto.
Complimenti al Parroco, alle catechiste, ai “giovani” educatori e ai ragazzi

Parlando della salute, sta di nuovo girando un raffreddore (partito come al solito dal nostro giovane nipote, ci ha preso tutti chi prima chi dopo, chi forte chi debole  . . .  e non è COVID!
Ci ha messo del suo anche il tempo meteorologico, con sbalzi di temperature e di stagione in una giornata . . . Chi dice che non ci sono le mezze stagioni non è preciso, ci sono stati giorni estivi, altri autunnali e persino certi invernali . . . Aspetto con l’ansia la Primavera, quella tranquilla, non calda, non fredda, con l’aria frizzante.

Pasqua e Pasquetta come al solito passate con qualcuno dei parenti e con qualcuno degli amici.
Con calma
tra cibo, sempre più poco e sempre meno “goloso”
tra chiacchiere sempre più calme, ma sempre incentrate su figli e nipoti
tra sonnolenza post prandiale combattuta a colpi di caffè e cioccolata (grazie alle molte uova, di cui i destinatari hanno preso la sorpresa e ci hanno lasciato il cioccolato . . . fondente)
Telefonate con i parenti lontani. Telefonate con i parenti vicini.

E ora, dopo aver passato anche la Domenica in Albis (se esiste ancora qualcuno che la conosce con questo nome e sa il perché e il percome) si torna al quotidiano, alla solita routine . . . che non è mai solita, anzi, a volte pare proprio che voglia mettermi alla prova. Vedere fin dove arriva il mio grado di sopportazione.
C’è la questione del riordino generale. Come decido di fare il cambio (space clearing ecc) dell’armadio . . . ecco che arriva una perturbazione, ciclone, pioggia, vento e neve e i lavori si arrestano sul nascere, con i panni invernali di nuovo sottomano!
Se mi viene in mente di riordinare qualcosa in cucina . . . come minimo arriverà una telefonata fiume della Vicinavicina (l’ultima è durata 46 minuti, secondo più secondo meno).
Ma la cosa che più smuove le Parche a guardia del mio filo è quando penso che sia giunta l’ora di buttare all’aria il garage, cantina, lavanderia . . . mi ero detta che se la temperatura fosse arrivata a 18° per 2 gg avrei cominciato a dedicarmi al decluttering di un’ora e mezza giornaliera . . . È arrivato un freddo tale che i Sindaci della città sulla costa e limitrofi si sono sentiti in dovere di lasciarci accendere caldaie e camini ancora per 15/20 giorni (ditemi voi, quando finirà questo freddo passeremo direttamente alle canottiere!)

Ma chi se ne importa . . . allegramente aspetto, dopo la pioggia deve esserci il sereno, è un dato di fatto. Come diceva Gioppino: “mi preoccupa quando c’è il sole, se cambia piove”

E poi vorrei parlarvi di altri argomenti, come la prof in pensione che, a Bergamo, è stata multata perché spiegava ad alcune amicizie le bellezze artistiche della città.
Le nuove “conoscenze” che ho fatto da quando figli e nipoti mi hanno fatto scoprire Istagramm.
La scuola di MyLord e di MyLady, sempre più sconcertante e deludente.
I pensieri filosofici che mi vengono tra le 3 e le 4 di notte (quando mi sveglio e non riesco ad addormentarmi al volo, e penso)

Ma s’è fatto tardi e i due neuroni ancora svegli mi stanno dando segnali di sonno imminente, devo affrettarmi a raggiungere il letto se non voglio addormentarmi qua! Buona notte! ♥

Pasqua 2023


Resurrezione (di Alessandro Manzoni)

E’ risorto: il capo santo
più non posa nel sudario
è risorto: dall’un canto
dell’ avello solitario
sta il coperchio rovesciato:
come un forte inebbriato,
il Signor si risvegliò.
Era l’alba; e molli il viso
Maddalena e l’altre donne
fean lamento in su l’Ucciso;
ecco tutta di Sionne
si commosse la pendice
e la scolta insultatrice
di spavento tramortì.

E a voi che passate di qua



Quando è stata l’ultima volta che hai pensato a te?

Questa domanda mi gira in testa da quando l’ho letta (Intenet, giornale, libro? non ricordo)So che l’ho letta da mesi, più o meno dall’inizio dell’estate, se devo credere alla cronologia di Word, dove ho iniziato a scrivere il titolo e poi ho chiuso e ho riaperto stamattina . . .

Quando è stata l’ultima volta che ho pensato a me?
Sono sicura di aver pensato a me a luglio, quando sono risultata “POSITIVA” al SarsCov-19
E ancora, a inizio settembre quando sono stata in ospedale per un piccolo intervento.
E nella settimana dopo, quando le Figlie hanno fatto di tutto per lasciarmi in convalescenza totale.  
Ancora di più quel pomeriggio di qualche settimana fa, quando sono caduta. Inciampando banalmente nelle coperte, messe male, del letto del NonnoPapà.
Ma è stamattina, che mi sono svegliata piena di dolori dappertutto. Dopo che ho preso l’antidolorifico che ho cominciato a pensare a me!

Quante volte mi sono detta:“Sto bene!” anche se non era vero . . .e subito dopo: “Prendo una pastiglia e mi passa tutto!”
Quante volte ho fatto le veci dello Stato, della Scuola o della Sanità che non sono sempre così attivi come dovrebbero o come si raccontano
Quante volte, mi è stato detto: “c’è da fare! L’unica che lo può fare sei tu, gli altri hanno altri impegni”.
Anche se anch’io ho sempre avuto un mazzetto di impegni giornalieri
E quante, poche, volte ho detto “non posso”!

Questa è la “mala educacion” di cui, ironicamente, mi lamento con le figlie e la nuora.

L’educazione che abbiamo avuto noi donne nate a ridosso della II Guerra Mondiale, quelle che le classificazioni delle generazioni chiamano “boomers”, in cui siamo comprese sia io che mia sorella (certo è che tra me, nata nei primi anni, e mia sorella, nata negli ultimi, c’è una bella differenza. Infatti io mi sento molto più vicina a quelle donne nate durante la guerra o nei primissimi anni del dopoguerra. Lei, no, lei è cresciuta con i cambiamenti dovuti al ’68).

Come mi hanno spiegato quando ero una giovane mamma, i figli imparano da quello che gli dici, ma anche molto da quello che vedono che fai. per cui, io vedendo mia nonna (nata nel 1914) e mia madre (nata nel 1930) sono cresciuta con la fissa del “prima gli altri”.
Che di per sé è una bella fissa. Ma quando tu ce l’hai e gli altri se ne aprofittano, è squilibrata.

Che dite, nel cammino verso i miei 70 anni riuscirò a essere (in modo sano) un po’ più egoista e a prendermi cura di me stessa? A coccolarmi? A cercare prima la mia soddisfazione e poi pensare agli altri?

D’altra parte, figli e nipoti possono fare da soli, sono sicura.
D’altra parte, qualche errore l’ho fatto anch’io. Ne faranno anche loro e impareranno.
Potrei dedicarmi a me e a quegli interessi (chiamiamoli hobby) che per troppi anni ho seguito solo saltuariamente, riannodare i fili di tanti “progetti” iniziati e mai conclusi . . . vuoi vedere che è l’età giusta per pensare a me stessa?

Mi e vi farò sapere!
Penso che questo blog diventerà un po’ più intimistico, sempre ironico. Perché l’ironia e l’ottimismo mi hanno aiutato a superare tanti ostacoli e a rialzarmi dopo i miei errori . . . A presto!   


Ps. e se riesco ad aggiungere qualche immagine, sarò anche più felice!

Zampone in crosta di patate!

Giusto per non lasciare il post “Sfida all’Ok cuoci!” senza un riscontro . . . vi metto (con incolpevole ritardo) la ricetta con il prodotto più fuori stagione che avevamo ancora in dispensa a marzo, il momento in cui abbiamo fatto l’inventario

Non è che sia una novità assoluta (nel variegato mondo delle ricette), semplicemente in questa casa non si era mai sperimentata questa “vicinanza”.

Una sera, è arrivata in tavola una teglia da forno con sopra una specie di cilindro, giallo dorato . . . sarà un arrotolato? Sarà questo, sarà quello?
In pochi gesti, Figlia Grande ha svelato l’arcano: era lo zampone già bello cotto e pulito dalla sua cotenna (malgrado qualcuno apprezza tantissimo), nascosto in uno spesso strato di purée, il tutto spolverato di formaggio grattato e scaglie di burro e poi, messo in forno fino all’ottenimento di quella bella crosticina dorata.

Inutele dirvi che è piaciuto tutto tantissimo . . . Se volete provarci, nella stagione adatta a un piatto così “scaldante”, vi scrivo qua sotto la ricetta provata ed approvata . . .

Zampone in crosta o zampone nascosto!

Ingredienti x 5 persone (a cena, dopo un piatto di vellutata di verdure stagionali)

1 zampone
qualche busta di purée istantaneo
Latte
Sale, noce moscata, panna qb
Burro qb
Formaggio grattato qb

Preparazione

Prendete lo zampone, avanzato dalle scorte per le feste di fine anno, ma non ancora scaduto. Fatelo cuocere secondo le istruzioni del produttore e, quando è pronto, pulitelo bene da tutta la cotenna e i piedini (buttateli nell’umido perché comunque possano servire a qualcosa) e appoggiatelo su di un piatto . . .
Mentre lo zampone cuoceva o dopo che è pronto e aspetta, pazientemente, lì sul piatto, prendete qualche busta di purée istantaneo (di quelle che: compra che è meglio averne un po’ di scorta, non si sa mai) che non siano ancora scadute, in base allo zampone che avrete cotto (Consiglio “matematico”: 1 zampone = 1 o 2 buste di purée istantaneo).
Preparate il purée seguendo le istruzioni del produttore, ma se volete, potete “personalizzare”.
Qui da noi, per esempio, nel purée ci si mette anche la panna (da cucina) al posto del burro (ho letto che è “più leggera”), poi, oltre al sale (pepe solo se non vi da fastidio) aggiungiamo la noce moscata (che toglie quel dolciastro della panna).
Sistemate su una teglia una piccola parte di purée, lo zampone e il resto del purée, intorno allo zampone, che non si deve più vedere . . .
Sopra a tutto, mettete il formaggio grattato , a scelta fra i formaggi filanti, NO MOZZARELLA, e i vari tipi di grana o Parmigiano Reggiano. (io, quando vedo che i formaggi restano un po’ troppo in frigor, li gratto “a julienne” e li infilo in uno sacchettino da freezer, vengono sempre buoni per insaporire o gratinare torte salate, quiche o roba simile)
Premete leggermente in modo che i formaggi si attacchino bene al purée e, se serve, raccogliete quelli cascati intorno e appiccicateli alla base.
Infornate giusto il tempo di fare asciugare un po’ il purée e di far dorare la superficie coperta dal formaggio . . . ognuno conosce il suo forno, ma non credo serva più di un quarto d’ora, è tutto cotto!

Enjoy!

Mio Padre . . .

Mio padre ha sempre detto: “Se uno non sa che giorno è della settimana, vuol dire che è proprio senza cervello!”

Mio padre, ieri ha detto a mio marito: “Oggi niente lavoro?” e alla risposta: “No, nonno, oggi non si lavora!” ha chiesto: “Perché, che giorno è oggi, non è venerdì?”

Mio padre, a volte mi guarda, gli occhi smarriti, e mi dice “Sono confuso!”

Sfida all’Ok Cuoci!

Prima che fosse proclamato il “primo lockdown”, vista l’aria che tirava e avendo ascoltato bene le informazioni dei Tg e quelle arrivate dalla Cina, a fine febbraio 2020, in casa Fiordicactus, si è deciso che serviva un congelatore (e fu scelto quello a pozzetto . . . neanche troppo grande)
 
Detto fatto:
una ricerca di qualcosa di valido, ma in offerta
un ordine on line
un pagamento on line
un camion al cancello
due uomini grandi e forti che scaricano un grande parallelepipedo, confezionato con cartone, plastica e polistirolo e lo portano davanti all’entrata del garage . . .

Sembrava fosse arrivato BabboNatale fuori stagione, sistemato l’elettrodomestico e tutto il suo “contorno” di plastica, legno e polistirolo, s’è posto il “problema” di  riempirlo (io non sono portata all’accumulo di cibarie, specialmente di cibo surgelato, preferisco il “fresco” e la stagionalità!).

Ma in quei giorni, era utile avere qualche scorta anche per il fatto che, tra i “suggerimenti” del periodo c’era quello di no fare la spesa”abbondante” una volta ogni tanto, onde non affollare i supermercat

Ma ci andavamo ancora cauti. Doveva essere una cosa momentanea . . . e invece . . . ci siamo ritrovati, a distanza di 2 anni, con “dispensa” e congelatore pieni.
L’abitudine di “avere un po’ di scorta” ci ha preso la mano anche dopo il momento di crisi, dopo i vaccini, ma prima dello sciopero (che, dicono,dovrebbe cominciare oggi) dei camionisti. In questi giorni mi sono ricordato di un post dell’amica Lucy (Una Penna Spuntata) e sono andata a recuperarlo . . . Cercandolo ho trovato anche un altro spunto . . .

E così, leggendo e aggiustando un po’ le cose, ho pensato di fare una auto sfida: provare a consumare tutto quello che si è accumulato tra frigor, congelatore e dispensa . . . inventando il modo di usare tutto quello che abbiamo.

Poi vi tengo aggiornati

Reset

Volevo scrivere della Primavera che arriva
Degli incontri (on line) per l’orientamento scolastico dei ragazzi della 2° media
Di nuove ricette, nuove amiche, nuove decisioni
Avevo persino in mente una serie di link per la Quaresima
Qualche consiglio su libri e film che mi sono piaciuti negli ultimi mesi
E qualche post sulle “cronache semiserie”, perché di cose “semiserie” ne succedono sempre in questa casa.
E infine, avrei voluto scrivere, per i miei posteri, i giorni della pandemia con le paure, le ansie, i momenti buffi e quelli pieni di speranza o di noia . . .

Insomma, volevo dimostrare a me, prima che a chi passa di qua, di essere ancora viva, di avere ancora un cervello che ragiona, di avere ancora da dire e da fare . . . malgrado gli anni che passano si facciano sentire!

Intanto, come disse (*)John Lennon: “La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” ed è arrivata la guerra in Ucraina.

I pensieri si sono congelati nella testa, poi hanno cominciato a vorticare.
E da allora, per giorni sono stata con la Tv accesa in attesa che qualcuno trovasse un modo per fermare tutto in breve, brevissimo, tempo. Invece è passata anche la prima settimana di guerra e le cose vanno sempre peggio . . . E io conosco una giovane mamma e la sua bambina che stanno là e non sono ancora riuscite a lasciare la loro città. Non sono riuscite a uscire da quell’inferno . . .

MyLord, troppo grande per disinteressarsene e troppo piccolo per capire fino in fondo, il giorno che è iniziata l’invasione dell’Ucraina è tornato da scuola e mi ha detto: “Nonna, un mio compagno mi ha detto che i russi hanno invaso l’Ucraina, vuole sapere per chi tengo io . . . Nonna, noi teniamo per Putin o per l’Ucraina???”
Molto difficile da spiegare . . . ho risposto: “Noi siamo amici di Irina e di Masha (senz’orso) e di Lele. Irina è ucraina, noi teniamo per l’Ucraina!”
E lui: “Ah! Ecco, l’ho pensato anch’io! Gliel’ho detto!”

Dimenticavo . . . oggi è un anno che mi è morta una cugina, fuori il cielo è grigio, piove e in casa fa freddo, la signora che conosco in Ucraina non da notizie da ieri . . . Difficile, anche per un’ottimista come me trovare la gioia!

Devo recuperare. Per oggi mi fermo . . . facciamo che faccio una pausa, tiro il fiato e riparto raccontando la vita che mi accade, i progetti che ho e quelli che hanno gli altri . . .

(*) Nota sull’autore della frase: ho detto che John Lennon l’ha presa in prestito. Essa infatti apparse per la prima volta nel 1957 nella rivista Reader’s Digest,  all’interno di una sezione chiamata “Quotable Quotes” (“citazioni da citare”), che la attribuiva a Allen Saunders, un autore di fumetti. Lo dice il meritorio sito Quote Investigator, che verifica l’attendibilità delle citazioni. Utile, in questi tempi di fake news, no?



Se fa freddo e hai in casa un bel broccolo

Qualche sera fa, faceva freddo!
Qualche sera fa, avevo in frigor un bel broccolo! Verde!
Qualche sera fa, vado a cercare una ricetta sul web e . . . non avevo tutti gli ingredienti richiesti!

Poco male!
Il tutto è stato messo in pentola a pressione in acqua bollente salata con luna foglia di alloro, secca (così non si sente quel caratteristico profumo, che qualcuno trova disgustoso)

Cavolfiore – broccolo – romanesco

A fine cottura, con la schiumarola (che mia nonna chiamava “cassa buca”) abbiamo raccolto le cimette e le abbiamo messe nella pentola dove sono cotte per quei pochi minuti per averle morbide.

L’acqua di cottura è stata conservata sul fuoco, per dopo.

Mentre il broccolo si cuoceva nella pentola a pressione, FigliaGrande ha affettato finemente la cipolla, l’ha soffritta in una padella (o wock) con 2 cucchiai di olio (extra vergine) insieme all’aglio (vestito o nudo, come preferite), salate, mettete il coperchio e lasciate cuocere fin quando la cipolla è appassita e l’aglio non è bruciato (un compromesso non facile da ottenere).

Abbiamo unito il cavolfiore e cotto ancora, mescolando, fin quando non abbiamo visto che le cimette si schiacciavano facilmente col mestolo.

Abbiamo aggiunto l’acqua di cottura del cavolfiore, portato a ebollizione (ce n’era abbastanza ed è rimasta sul fuoco, c’è voluto poco), dopo 5 minuti abbiamo ridotto le verdure a crema (come da ricetta: con il frullatore a immersione) anche se io ho imparato a usare un attrezzo che qualcuno chiama “schiaccia patate” e di cui vi metto la foto. Se usato delicatamente, non rovina nemmeno la wock antiaderente.

Schiacciapatate

Tolta dal fuoco la pentola, abbiamo aggiunto la panna, sale, pepe e noce moscata e mescolato bene, delicatamente, dal basso verso l’alto, aggiungendo un po’ di brodo di cottura, perché era davvero troppo “tosta”.

Nel frattempo abbiamo tostato le fette di pane da un lato, le abbiamo adagiate sul fondo delle delle fondine (ma volendo potete usare anche delle ciotole), mettendoci sopra formaggio “filante” tagliato a fettine sottili e parmigiano grattuggiato (questo l’abbiamo copiato dalla ricetta della zuppa di cipolle alla parigina).

Abbiamo versato la crema di cavolfiore nelle ciotole e . . . “Buona questa zuppa!”

Qualche giorno dopo, mi è capitato in mano uno di quegli inserti che regalano i quotidiani. Sfogliandolo ho trovato una ricetta . . . uguale uguale, ma con il cavolfiore arancione (che non ho mai visto, ma lo cercherò per provarlo). Per vederla, cliccare sulla foto!

La foto della “Zuppa di cavolfiore al formaggio” clicca qui e la potrai leggere!


Ricordo la prima volta che qualcuno ha regalato a mia Suocera un cavolfiore romanesco . . . lei non l’aveva mai visto, verde e con quello strano aspetto, niente a che vedere con i cavolfiori che piantava lei . . .
Insomma, quando dopo qualche giorno le abbiamo chiesto come le era sembrato il sapore di quel cavolfiore e lei ci ha spiegato che non avendone mai visti di quel tipo, non si fidava e l’aveva buttato via!

Da Natale alla 12° notte – Per la Befana che arriva stanotte . . .

Cara Befana,
eccoci qua, come ogni anno alla vigilia del tuo arrivo, a farti le mie richieste come ho fatto con i tuoi colleghi, Santa Lucia e Babbo Natale:
Tu sai che sono stata molto impegnata in questi ultimi giorni e mi sono ridotta agli ultimi minuti . . . Ma sono sicura che tu sai già quello che mi serve.

Per primo, una scatola piena di pillole di Pazienza! Perché, tu lo sai, non sono mai abbastanza paziente e a volte esplodo . . .

Un bel vagone di Salute. Di salute non ce n’è mai abbastanza, specialmente di questi tempi. Ne chiederei un vagone, per poterne regalare a tanti, a tutti i miei famigliari, per primo. Ma anche a chi conosco e so che sta passando brutti momenti. Ne terrei un po’ anche per me . . . sto invecchiando, gli acciacchi non si contano più!

Un altro regalo gradito, caro Babbo Natale, sarebbe poter fare nuove esperienze, positive (positive nel senso che gli si dava fino all’arrivo del Coronavirus, cioè belle, gradevoli, che aiutano a vivere meglio). Una di quelle che mi piacerebbe fare, sarebbe imparare a fare decorazioni col “Trencadis”. Un’altra sarebbe un bel viaggetto per conoscere la Sicilia e le amiche siciliane!

Vorrei anche, appena possibile, un ginocchio nuovo, Tu puoi capirmi, alla nostra età le ossa scricchiolano e soffrono, l’artrite e l’artrosi la fanno da padrone. La cosa che mi piacerebbe come confezione a questo regalo è una riabilitazione senza dolori e problemi . . . sapessi cara vecchietta quanta paura ho di affrontare il tutto!

Non sarebbe sgradito un aiuto, nel caso decidessi di comprare un biglietto della Lotteria per la tua festa o anche solo un ”gratta e vinci”, per ricevere una super vincita
Sì, lo so cosa dicono gli psicologi e le statistiche . . . ma ti assicuro che io non mi metterei a fare spese pazze, non perderei la testa in investimenti fasulli. Mi limiterie a sistemare le cose che ne hanno bisogno, investire con cautela una parte del premio, un po’ di beneficenza per chi ne ha bisogno (e sono tanti) e, se ci avanza . . . un viaggio per incontrare parenti e amici.

Non mi pare di aver richiesto chissà che, ma se nella tua sacca non ci fosse rimasto molto, mi accontento anche di un po’ di gioia, quella gioia tranquilla che deriva dalle piccole cose e che può illuminare una giornata grigia come un raggio di sole.
Ah! Dimenticavo! Anche un po’ di carbone dolce! Altrimenti, che Befana saresti???

Grazie comunque della tua amicizia, ci si risente l’anno prossimo . . . a Dio piacendo, tua Fiordicactus

Avvento 2021 – Il Natale del ’45


Scritto dal NonnoPapà cioè BisNonno (classe 1930), ripescando i suoi ricordi di quando era ragazzo, su richiesta di nipoti e bis nipoti, del tipo “Nonno come vivevi quando c’era la guerra???” nel Dicembre 2018 come regalo di Natale per Nipoti e BisNipoti . . . oggi, lo doniamo a voi, amici.

Mio padre, fu considerato “Disperso” sul fronte Russo durante la controffensiva russa del dicembre 1942. Dopo la morte di mia mamma, il 15 giugno 1943. La mia famiglia (composta ormai solo dai miei 3 fratelli e da me) era dispersa.
Dal giugno del ’45, quando terminò la II Guerra Mondiale, le truppe alleate anglo-americane occupavano l’Italia sconfitta. Il pane era razionato (solo 250 grammi al giorno per persona), com’era razionato tutto il resto: dall’abbigliamento alle scarpe, dalla carne ai formaggi e latticini vari.
Io, 15 anni, ero in Orfanotrofio, a Bergamo, e potevo, finalmente finire la scuola. Mio fratello, rientrato dal “lavoro obbligatorio” dalla Germania, abitava presso uno zio, con mio cugino e la nostra sorellina piccola (3 anni), mentre l’altra sorella (8 anni) era in un orfanotrofio femminile.

Questo era la situazione, quando la zia (sorella di mio padre), invitò, mio fratello, mio cugino e me, a trascorrere il Natale da lei in Alto Adige, dove era sfollata con la sua famiglia, a causa della guerra
Non fu difficile ottenere il permesso di assentarmi dall’Orfanotrofio per le feste natalizie.
Quando ne fu informato, lo zio incaricò mio fratello (il più grande ed esperto di noi ragazzi) di organizzare il viaggio. Poi, ci riunimmo, noi tre e lo zio, per parlarne. Furono stabiliti i giorni, la spesa e le modalità del viaggio.
Lo Zio si complimentò con mio fratello e mio cugino. Io non contavo nulla, restavo il “bambino”, mi trattavano come il fratellino piccolo: “Tu sta zitto e fai solo quello che ti diciamo noi”, questo era il loro “comandamento” e io dovevo solo obbedire

Si decise di partire il 22 dicembre, dalla stazione di Brescia con il treno che da Milano arrivava a Verona.
A Verona saremmo saliti sul treno che ci avrebbe portato a Bressanone, la nostra seconda tappa.
A Bressanone avremmo dovuto prendere il treno che ci avrebbe portato a Brunico e da lì saremmo ripartiti con un trenino “a scartamento ridotto” per Campo Tures, dove abitava nostra cugina con i suoi genitori.
Sembrava un viaggio perfetto. Saremmo giunti a destinazione il 23 dicembre, l’antivigilia di Natale.

Quel mattino mi sedetti sul sedile vicino al finestrino e feci tutto il viaggio ammirando il paesaggio che scappava via in fretta. Ero emozionato, era il primo viaggio così lungo che facevo, era anche il primo viaggio che facevo senza un adulto. Mio fratello era più grande di me, ma non era un adulto, secondo me.
Il treno arrivò a Verona in orario e io pensai di poter vedere il celebre balcone di Giulietta, ma mio fratello mi disse che non saremmo usciti dalla stazione.
Il treno che dovevamo prendere arrivò con un po’ in ritardo ma il Capotreno ci rassicurò: saremmo arrivati in orario a Bressanone.
Il viaggio si svolse senza incidenti, ma quando arrivammo a Bressanone era già buio e il treno per Brunico era già partito
Ivan si recò alla biglietteria per avere delle informazioni. Quando tornò, ci comunicò che dovevamo pernottare a Bressanone e che solo il giorno dopo saremmo potuti partire.
Per la notte ci sistemammo nella sala d’aspetto: i due ragazzi grandi si accomodarono su una panchina, mentre io ebbi un posto privilegiato, sul tavolino. La stanchezza ebbe il sopravvento, e mi addormentai subito.

Al mattino dopo, ci svegliammo presto e quando la biglietteria aprì gli sportelli, mio fratello si precipitò a comperare i biglietti per Bressanone. Dopo un po’ lo vedemmo venire presso da noi, con una espressione preoccupata. Con un fil di voce sussurrò: «Niente treno, oggi è domenica e i treni sono tutti fermi, bisogna aspettare lunedì.»

Ci guardammo confusi, uno con l’altro per un po’, alla fine Ivan decise per tutti e con voce sicura ci disse:

«Andremo a Brunico a piedi, preparatevi a camminare. Spicciatevi, fate quello che dovete fare, tra poco dobbiamo partire. Forse riusciamo a prendere il treno per Campo Tures che parte da Brunico verso le diciassette, non vorrei perderlo e restare a Brunico tutta la notte»
Lasciammo le valige nel magazzino delle spedizioni. Ce le avrebbero spedite appena possibile, sarebbero arrivate il 27 o, al massimo, il 28 di dicembre. Mettemmo negli zaini tutto quello che ci poteva serviva di prima necessità. 

Mio fratello si caricò anche il mio zaino sulle spalle e partimmo pieni di entusiasmo, fiducia e determinazione. La nostra marcia era iniziata bene e continuò per un paio ore senza difficoltà, ma ci accorgemmo che sul bordo della strada, non c’era nessuna trattorie o posti di ristoro. I paesi erano lontani dalla strada, non volendo perdere tempo, continuammo imperterriti a marciare. L’allegria aveva lasciato il posto al silenzio.
Mio fratello sperava di poter incontrare un automezzo cui poter chiedere un passaggio, ma il traffico era inesistente. Passava solo qualche vettura con militari americani a bordo, ci superavano senza nemmeno degnarci di uno sguardo. 

Quando fummo più o meno a mezza strada, la fortuna ci fu benigna e dopo una curva trovammo un’osteria tirolese, circondata da pini carichi di neve. Ripartimmo di nuovo pieni di speranza.

Eravamo stanchi e facemmo gli ultimi chilometri trascinando le gambe a denti stretti con il fiatone e, finalmente, arrivammo a Brunico. Entrammo nella Stazione Ferroviaria e ci sdraiammo, sfiniti, sulle panchine della Sala d’Aspetto. Probabilmente mi addormentai, perché ricordo che mi svegliai con mio fratello che mi stava spingendo verso il treno. Ero ancora mezzo addormentato quando mi adagiò sul sedile della carrozza del trenino, e mi addormentai di nuovo. 

Mi svegliai con mia cugina che mi stava scuotendo, dicendomi: «Dai Paolo, svegliati sei arrivato, se riesci a camminare la casa non è lontana, mia mamma e mio papà ci stanno aspettando.»  Eravamo arrivati!

Arrivati a casa della zia ricordo che continuava a piangere e accarezzarmi. C’erano tante domande. Ci rivedevamo dopo quasi 3 anni di guerra, da quando lo zio (originario del Tirolo austriaco) aveva pensato che per la sua famiglia fosse meglio stare in Tirolo, avevamo un sacco di cose da raccontarci.
Mio fratello e mio cugino raccontarono aneddoti sui vari parenti e le nostre vite a Bergamo. Mio cugino ed io spiegammo allo zio la nostra situazione scolastica. Mio fratello spiegò agli zii come fosse difficile trovare un lavoro in quel tempo e come avesse coinvolto nella ricerca tutti gli amici e conoscenti.

Raccontammo di noi e di Bergamo, dei parenti e degli amici. Io non parlai molto, solo quel tanto che bastava per spiegare agli zii dell’esperienza (per certi versi positiva) alla Casa dell’Orfano e della mia permanenza attuale, all’Orfanotrofio di Bergamo, dove vivevo male e mangiavo peggio. Questo mi fruttò una fetta supplementare della torta della zia.  Cenammo in allegria con dei cibi che non mangiavo da cinque lunghi anni.  Sulla tavola c’erano pane bianco (pane di di frumento), companatico a volontà, dolcetti e frutta che non vedevo da anni.
Io ero stanchissimo e ciondolavo dalla stanchezza e dal sonno, mi addormentai sulla poltrona del salotto della zia. Quando finalmente lo zio ci portò all’albergo dove avevamo una camera tutta per noi, Virgilio mi caricò sulle spalle e mi mise a letto senza che mi svegliassi.  Al mattino dopo, faticai a realizzare dove fossi. Avevo dormito bene e a lungo.  Il letto era soffice, non aveva il enzuolo sopra e nemmeno le coperte, solo un caldo piumone di penne d’oca, soffice, leggero e caldissimo.  Non avevo mai visto prima un letto così strano.

Mi sveglia per primo la mattina dopo, mi sentivo pieno di vita, avevo riposato bene e i miei quindici anni pretendevano di vivere la nuova situazione alla grande.
La zia aveva preparato una ricca, abbondante e dolcissima colazione.
A me sembrava un sogno poter mangiare tante cose così buone; dolci squisiti, e bere del latte caldo, dopo sei mesi che non lo gustavo.  All’Orfanotrofio, a colazione, ci servivano un brodo vegetale, con dei pezzi di patate che galleggiavano nella brodaglia senza sale,
Quando finimmo la colazione la cugina Marì ci accompagnò a visitare il paesino, ci fece conoscere alcune delle sue amiche. Mio fratello e mio cugino continuavano a conversare con le amiche di Marì. Uno sfoggiava tedesco imparato durante la guerra, l’altro si comportava da gran signore parlando in italiano da primo della classe.
A me sembrava tempo sprecato parlare con delle ragazze, le consideravo solo una seccatura. Avrei preferito andare sui campi di neve con la slitta, come mi aveva promesso mia cugina, ma si decise che lo avremmo fatto il giorno dopo.
La zia ci servì tutte cose particolari, era giorno di “vigilia”, perciò niente carne.  Fummo serviti i ravioli ripieni di formaggio, la Mosa, tipica zuppa tirolese, di farina bianca, cannella e burro fuso. Formaggi dolci e salati, a scelta. Mangiammo ciambelle farcite di mele e, a fine pranzo, frutta secca, noci e nocciole e fichi secchi, i classici frutti invernali.
Ci organizzammo per il pomeriggio. Secondo la tradizione austro/tedesca, lo zio preparava l’Albero di Natale in segreto e noi dovevamo aspettare in cucina che ci chiamasse per l’accensione delle candeline (rigorosamente di cera) dopo che aveva finito l’addobbo dell’abete. Mia cugina ci insegnò una canzone in tedesco, per fare contento lo zio che aveva piacere che si ripetesse la tradizione dei cori natalizi. Ci imbrogliavamo con le parole in tedesco e io, venivo preso in giro perché ero stonatissimo.Era un’atmosfera davvero allegra, con tante risate e con il calore della famiglia che non avevo più sentito da tanto tempo.

Quando lo zio ebbe finito l’addobbo natalizio dell’albero, ci fece entrare e finalmente vidi per la prima volta quanto fosse bello un Albero di Natale. Era bellissimo, maestoso, con tanti festoni che pendevano dai rami e palline di vetri colorato alternate e dolci e caramelle legati ai rami. Le candele illuminavano la sala, in penombra, a terra su di un tappeto, c’erano i pacchi dei regali per tutti noi.

Noi quattro ragazzi cantammo la canzone natalizia appena imparata: “Tannenbaum” . . . Oh Tannenbaum, wie treu sind deine Blätter!  (O albero! o albero eternamente verde.”)  che fece commuovere lo zio Lodovico. La zia servì la cioccolata calda (era da quando, tre anni prima, ero stato portato alla CASA dell’Orfano di Ponte Selva che non bevevo la cioccolata calda), furono servite anche delle deliziose frittelle dolci.

Lo zio ci disse che dopo la Messa di mezzanotte avremmo aperto i regali e avremmo fatto festa.  La festa passo con i tre cugini “grandi” che confabulare tra loro, mentre io giocavo a dama con lo zio. 
Prima di mezzanotte ci vestimmo ben imbottiti, la notte era serena ma gelida. Ci incamminando verso la chiesa, situata fuori del paese.
La Messa fu tutta in tedesco, preghiere, canti e predica. Fu una cerimonia che mi lasciò incantato, per la partecipazione del cittadini, tutti compunti e partecipi, cantavano e pregavano con calore, sempre in tirolese.  
Alla fine il sacerdote salutò tutti i capi famiglia, fermo sulla porta della Chiesa.  Lo zio, “il dottor” Kaaserer, fu ossequiato da tutti, e noi tre fummo al centro della curiosità delle ragazze tirolesi, come se fossimo dei marziani!

Finimmo la serata con lo spumante e un classico dolce tirolese, lo strudel. Poi, senza aver aperto i regali, andammo a letto e dormimmo fino a mattina inoltrata.  Fu una serata stupenda e dopo cinque anni di guerra avevo ritrovato il calore del Natale e della Famiglia, grazie alla zia Carolì e allo zio Lodovico.

Il mattino dopo, Natale, quando, finalmente furono svegli, lavati e “stirati”, andammo di corsa a casa della zia. Dovevamo aprire i pacchi dei regali, e questo m’incuriosiva parecchio.  Ero eccitatissimo.
Mia cugina era ancora addormentata, ma lo zio Lodovico, che aveva compreso la nostra curiosità, ci invitò ad aprire i regali. Ricordo solo il mio regalo: un magnifico maglione di lana bianca, con dei bei disegni: delle figure di cervi e di edelweiss in lana blù. Infilai il maglione e la zia costatò che mi stava alla perfezione. Lo indossai per tutto il tempo che restammo dagli zii, le tolsi solo quando ritornai a Bergamo, lo affidai alla zia, avevo paura che all’Orfanotrofio me lo rubassero.
Finalmente si svegliò anche mia cugina e ci fu una baraonda che si può facilmente immaginare, 4 cugini che si erano ritrovati dopo mesi e mesi di guerra, poche lettere che non sempre arrivavano.
Finì cosi il bel giorno di Natale in quell’anno, dopo tre anni da orfano passati lontano dai miei famigliari.

Quelle vacanze mi sembravano un sogno. Da cinque anni (anni di guerra) non mangiavo quello che mi cucinava la zia, ma il meglio di tutto era il pane. Potevo mangiarne quanto ne volevo e mi sembrava un dolce, quel buon pane bianco.
Le giornate trascorrevano tra ruzzoloni con la slitta, battaglie a palle di neve e merende a base di pane, burro e zucchero.
La sera i cugini e mio fratello, restavano in cucina ad ascoltare i dischi di musica americana che mio cugino aveva portato da Bergamo, mentre lo zio ed io ci sfidavamo “all’ultima dama”, ma vinceva sempre lui. Poi tutti a dormire in quella bella cameretta dell’albergo, tutta per me (anche se eravamo in tre). Da tre anni dormivo in dormitori, in montagna di quindici letti e a Bergamo, all’orfanotrofio, i letti del dormitorio si erano raddoppiati, erano trenta.  Dormire solo con i miei due parenti mi sembrava un sogno, ma sapevo che sarebbe terminato presto.  

Una sera, lo zio Lodovico ci comunicò che aveva telefonato lo zio Giovanni che sarebbe venuto, con la zia, in auto, dopo Capodanno, per riportarci a Bergamo. La notizia ci fece piacere, avremmo risparmiato un faticoso viaggio in treno.
E venne la sera di Fine Anno. Lo zio Lodovico ci offrì una festa al ristorante dell’albergo. Trascorsi una serata che non avrei mai immaginato. La grande sala, svuotata dai tavolini era addobbata di festoni natalizi e in un angolo un alto abete, pieno di candele accese, creava un’atmosfera di grande effetto. Lo zio aveva prenotato un tavolo, mangiai del cibo che non avevo mai visto. Conobbi la cucina tirolese in quelle sere del periodo di Natale del 1945:  ravioli, salsicce, selvaggina arrosto e maiale arrostito. Cibi che da cinque anni non avevo più visto né, tanto meno, mangiato.

La festa era una vera festa, il 1946 era lontano solo un paio d’ore.  Quando ci fu l’ultima conta dei secondi, allo scadere dell’anno, la folla esplose in un coro, in tedesco, e noi seguimmo il battimano che accompagnava il canto, la festa finì in una bevuta di birra mescolata a grappa.
Io, come al solito fui escluso dal brindisi, con la solita scusa che ero ancora troppo giovane per bere birra con la grappa.

Lo zio Giovanni e la zia arrivarono a Campo Tures, due o tre giorni dopo Capodanno. Avevano fatto il viaggio con la loro vettura, un furgoncino FIAT: in pratica, la famosa “Topolino”, ma furgonata.

Io avevo sperato di poter festeggiate l’Epifania a Campo Tures, ma fui deluso.  Lo zio Giovanni doveva essere a Bergamo perquel giorno e aveva deciso di partire il giorno 5 di gennaio. Le strade lo preoccupavano, l’anno era iniziato con una bella e copiosa nevicata.

Il furgoncino dello zio, disponeva di due sedili e di un vano per il trasporto merci varie. Siccome i due sedili erano occupati dagli zii, noi tre “sventurati” ragazzi ci rannicchiammo nel vano merci.  Facemmo tutto il viaggio di ritorno rannicchiati e infreddoliti. Le strade dissestate, ci deliziarono con le loro buche, mettendo a dura prova le nostre giovani ossa.
Il riscaldamento era ad “aria condizionata”, cioè, condizionata dal freddo che avvolgeva la strada e tutta la campagna innevata.
Fu un viaggio tremendo che non ho mai dimenticato. Dieci ore di viaggio tra sobbalzi e spifferi di aria gelida.
Finalmente arrivammo a Bergamo. Era notte fonda. Ad aspettarci c’era la Teresa, la “donna” (cioè la domestica) della zia.  Aveva preparato una cena fredda e dopo aver mangiato, lo zio decise che non sarei andato all’orfanotrofio fino alla sera dopo. Mi fece dormire nel letto di mio fratello.
Fui felice perché si trascorse la festa dell’Epifania tutti assieme.

Il mio rientro all’Orfanotrofio chiuse il ciclo natalizio. 




2021 Avvento – Cosa vorrei come regalo???

Il periodo è molto impegnativo, quasi stressante!
E a tutto il resto si aggiunge chi, perché ti vuole bene, ti chiede “che regalo ti piacerebbe ricevere?”
Si è persa quella fantasia, quella conoscenza dell’altro che ci fa intuire i suoi desideri . . . c’è da tener presente anche il “budget”: non si possono fare regali che costano oltre a quello che ci possiamo permettere:
Anche se, così si diceva una volta, i regali dovrebbero essere poco costosi, simpatici e inutili, di questi tempi, si vorrebbe fare un regalo che non venisse buttato in un angolo il 7 gennaio e dimenticato da chi lo riceve . . .
Ci sono consultazioni tra i parenti, perché non è bello fare regali uguali o simili . . .
Ora, un po’ per via di tutto quello scritto sopra e un po’ per quel “giochino” o “evento” a cui ho partecipato con entusiasmo, mi trovo a dover pensare a 5 idee regalo da fare a una blogger.
Sì, lo so, definirmi Blogger è un po’ presuntuoso, “una casalinga che si racconta” sarebbe più opportuno, ma la verità è che scrivo sul blog (come disse Julia, “un diario che mi risponde”) per cui, la definizione è “blogger” e i regali che mi potreste fare sono questi:

Tempo per scrivere. Sembra una cosa scontanta che una blogger abbia del tempo per scrivere, ma no, Non è vero. Perché essendo considerato (in questa famiglia) un hobby. Mi devo ritagliare il tempo, così per scrivere un post ci vuole anche una giornata e qualche ora nella notte. Oppure, orrore, devo trascurare qualcuna delle 1001 cose da fare. E non va bene, perché se ne accorgono subito!

Questo è un regalo che mi andrebbe davvero bene, mi sarebbe utile del Tempo per incontrare amici blogger,  ma nessuno ne ha d’avanzo. Per cui continuo a seguire le amiche e gli amici blogger sui loro blog, per i pochi che ancora scrivono o tramite Fb e gli altri “social” per chi ha abbandonato . . . ricordando gli incontri in gruppo a Bivigliano o quelli personali qua e là in Italia, sempre una gioia e un “ritrovarsi” dal virtuale e il reale. Sognandone altri con chi mi piacerebbe conoscere ed abbracciare di persona. A volte vorrei avere il tempo di incontrarmi con i parenti di quelle blogger che hanno lasciato, per sempre, questa vita. Chissà! Magari un giorno o l’altro . . .

Se ci fosse il negozio dove la vendono, gradirei un bel paccheto di Fantasia, magari confezionato con un bel fiocco colorato, di tutti i colori. La fantasia per rendere le mie idee, i miei pensieri e anche i miei scritti più accattivanti, ma anche riuscire a dare ai post quel qualcosa che incuriosisca chi passa a leggerli, che li stimoli a informarsi ancora o che dia pace ai loro pensieri. Leggere che altri hanno avuto la loro dose di gioia e dolore e che la vita è bella nonostante a volte sembri tutto nero può aiutare!

Un regalo che potrebbe farmi il nipote MyLord, sarebbe di spiegarmi come Attivare la “dettatura vocale”, me l’ha fatta vedere sul telefonino, ma non l’ho capita bene. Credo mi sarebbe utile anche per il computer . . . potrei andare avanti a fare altro e, man mano che mi si crea un pensiero, potrei parlare con il pc e lui scrivere. Logicamente, penso che alla fine dovrei controlare tutto e sistemare qualcosa, ma trovare già tutto scritto, dovrebbe essere un aiuto . . . anche se, parlando mentre sto facendo qualcosa in cucina, dovrei alzare la voce e ho paura che i vicini possano chiamare la Neuro! Mah! Bisogna provare!

Ho notato che, ultimamente mi si pone il problema se quanto scrivo può urtare altri. La “colpa” è delle nuove filosofie, di quello che mi dicono i nipoti grandi e di quello che si legge . . . per cui, me ne sono accorta, tendo ad auto censurarmi. Ecco, penso che mi servirebbe un pizzico di politically incorrect, da usare a piccole dosi, magari giustificate persino . . . starebbe bene in uno di quei vasetti dove si conserva il pepe, con i buchini piccoli, così non corro il rischio di usarne troppo, qb, appunto come il pepe!
Ora, siete avvisati, se volete un farmi un regalo, ecco qua la mia lista . . . se mi viene in mente altro, ve lo faccio sapere!


2021 Avvento – I preferiti: film, musica, libri

Arriva sempre un punto (a casa mia, forse da voi le cose sono diverse) in cui mi sento come i protagonisti di quel libro (poi film) “In fuga dal Natale” . . . se non lo avete letto, sono sicura che avrete visto il film
La coppia di protagonisti, assillata dal pensiero delle mille e una cosa da fare/comprare/sistemare per un Natale “perfetto”, decidono di lasciar perdere tutto: regali, pranzo, addobbi, biglietti di auguri.
Decidono di partire in crociera . . . non vi sto a raccontare tutto, tra l’altro mi è stato detto che lo “spoiler”potrebbe diventare un reato, per cui o ve lo leggete o cercate il film e sentitevi liberi di eliminare un po’ di cose inutili dai preparativi del Natale, ma non l’amicizia, l’aiuto tra vicini e quel minimo sindacale di “atmosfera natalizia”!

In altri momenti, anche durante l’anno, invece mi sento come il protagonista de “La vita è meravigliosa”, quei momenti in cui pensi che forse era meglio non essere mai nato . . . ecco perché, in questa casa, è cosa buona e giusta riguardare questo film almeno una volta, durante le vacanze di Natale, con tutta la famiglia!

Non ho mai letto il libro di Charles Dickens, Canto di Natale, che invece piace molto alla FigliaGrande che lo rilegge ogni anno nei giorni delle vacanze scolastiche. Mi sono sempre tenuta alla larga anche dai vari film che ne hanno tratto (è uno di quegli autori che mi hanno “imposto” durante gli anni di scuola e che, secondo me, non ero ancora nell’età di apprezzarli). Ma l’anno scorso, su insistenza del nipote MyLord ho guardato la versione 3D e devo dire che mi è piaciuto, tanto che mi sono promessa di leggere anch’io il racconto originale. Incomincerò sabato prossimo!

Ho già detto che in questo periodo di Avvento spesso teniamo come sottofondo una serie (che ogni tanto viene aggiornata) di canzoni e musiche prettamente natalizie più altre che di natalizio/invernale hanno solo la collocazione temporale, come la canzone “Lonesome Polecat” dal film “7 spose per 7 fratelli”, uno di quei film che fanno tanto cine-family-forum. Buoni anche per le giornate vacanziere, dopo aver finito i compiti di quel giorno!

Non vi voglio annoiare con le liste, sarebbero troppo lunghe, vista l’età, tanto sia i film che i libri e persino le canzoni sono sempre quelli . . .
Però, mi accorgo di non aver parlato del film (sempre tratto da un racconto) sul “Grinc” e i buffi abitanti della cittadina che si trova sotto il suo monte . . . E nemmeno di quello che, qui in casa nostra, si vede solo ad Halloween e a Natale (solo dopo anni di visione “selvaggia, persino in agosto, e dopo accanite trattative): “Nightmare Before Christmas”
Di tutti quei film sulla nascita di Babbo Natale, sugli elfi che a volte sono d’aiuto a volte combinano guai . . . Dei signori che vanno in giro in abiti normali, ma con una fluente barba bianca e creano situazioni vicine al “miracolo” e i piccoli di casa, ci chiedono fino all’ultimo “è o non è Babbo Natale?”

Di certo in questo periodo di caos e preparativi, non dimentichiamo di chi è il compleanno e, a ridosso del Natale ci mettiamo a vedere la parte del “Gesù di Zeffirelli” inerente il periodo che va dall’Annuciazione fino alla nascita di Gesù . . . con l’arrivo dei Magi da vedere per l’Epifania!

Questo periodo di pandemia con meno persone che vengono a trovarci, con le “piattaforme” on line che propongono film o non le vendite di E-book con un click, sono un incentivo a trovare nuovi titoli . .  magari farò un consuntivo delle “new entry” a fine vacanze!

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2021 Avvento – Santa Lucia bella, dei bimbi sei la stella!

Oggi, 13 dicembre, si festeggia Santa Lucia, la ragazza martire, di Siracusa . . . dove la chiamano, familiarmente “la Santuzza”.
Protegge gli occhi e la vista per cui, se avete problemi questa è la Santa a cui votarsi . . . ma oggi vi voglio parlare del suo impegno nei confronti dei bambini, in varie parti d’Italia. Vi racconto come si viveva nella mia famiglia questa magica notte . . .

Quando eravamo piccoli, qualche settimana prima tra la fine di Novembre e i primi gironi di Dicembre, si andava in cerca del fieno per l’asinello, di solito da qualche amico o parente dei nostri genitori che ancora lavorava nei campi e/o aveva a che fare con animali come i conigli o le mucche!

Sempre in quel periodo scrivevamo la “letterina” con tutte le nostre richieste, le promesse di essere sempre bravi e buoni, le speranze che la Santa pensasse anche ai bambini bisognosi. Insomma, le cose che si scrivono anche ai genitori e che, mentre le scrivi ci credi anche . . .
La letterina veniva portata nella chiesa di Santa Lucia, in centro al Bergamo, dove c’è “il corpo” della Santa, (anche se poi, quando diventi grande, ti rendi conto che è solo una statua!) davanti alla quale si recitavano le preghiere e la richiesta che la Santa, patrona della vista, ce la preservasse buona!                                                              

Inutile dire, che già partendo da novembre, si cercava di “essere più buoni”, perchè, ti avvertivano i grandi, la Santa, si aggira per il cielo, col suo asinello e osserva i bambini per decidere a chi consegnare i regali e a chi il carbone . . .

La sera del 12 si apparecchiava la tavola per l’ospite tanto attesa, una bella tovaglietta, piatto e bicchieri della festa, taleggio, pane, prosciutto, qualche biscotto, e la frutta: mandarini, la casa profumava di mandarini!  Dall’altra parte del tavolo, il fieno e una tazzina di zucchero e una ciotala di acqua, per l’asinello! Poi si andava a letto, con gli occhi ben chiusi e sperando di addormentarsi presto, perchè, se la Santa Lucia vede un bambino con gli occhi aperti, subito gli butta la cenere negli occhi (sempre secondo le avvertenze dei più grandi)!

Il mattino dopo, intorno e sopra il tavolo c’erano i regali. Di solito, un gioco per ognuno, e poi, mandarini, carbone dolce, i soldini di cioccolato, quaderni e colori, o altre cose di cancelleria che sarebbero serviti per la scuola!  Se il giorno di Santa Lucia era un giorno feriale, si andava a scuola con i nostri regali (o almeno quelli che si potevano portare senza difficoltà) e la maestra ci permetteva di tenerli, a parte il solito tema “parla dei regali di Santa Lucia”, per quel giorno tutto ruotava intorno a Santa Lucia, c’erano dei piccoli dono anche a scuola, c’era la festa, nel salone . . .  Poi, nel pomeriggio, si ricevevano altri regali, dai nonni. 
Di solito, nella nostra scuola, tra S. Lucia e Natale si raccoglievano quei regali che, tra quelli ricevuti, si decideva di donare ai bambini più poveri . . . quando ero piccola io.

Quando sono stata un po’ più grande, andavamo, con le Guide (le ragazze scout) in un collegio in Città Alta, dove erano accolte le figlie di donne in carcere, di donne in difficoltà, di genitori costretti ad emigrare o abbandonate, e provvedevamo a ricreare per loro la magia della Santa Lucia.
Tra noi ragazze, una tra le più grandi, possibilmenti alta, bionda e con i capelli lunghi, indossava un abito lungo, il velo e in mano teneva una candela o aveva una coroncina di candeline. Entrava in un salone dove tutte le bambine erano riunite e consegnava loro i regali: frutto dei nostri sforzi o della raccolta tra parenti e amici, del nostro autofinanziamento!
Poi si cantava, coccolavamo le più piccole, facevamo dei giochi con le più grandi!

Da quando siamo qui, sulla Costa marchigiana, i regali di Santa Lucia, venivano portati a casa dei miei genitori, con mia madre, che preparava una scenografia fantastica per i nipotini. 
Mi ricordo che una volta, quando era piccola, la nipote più grande, meravigliò il padre, (mio fratello non avrebbe voluto che noi continuassimo “tutte queste stupidaggini” ma si adeguava) perchè, pur essendo settembre, vedendo un fienile, in una cascina da alcuni loro amici, chiese al padrone di casa di poter riempire una borsa di fieno, e quando gli fu chiesto a cosa le servisse, spiegò semplicemente che doveva procurare il fieno alla nonna, per l’asinello di Santa Lucia.

Quest’anno abbiamo preparato la tavola di Santa Lucia con i miei nipoti e il racconto e le spiegazioni e le cose da mettere in tavola le ha orchestrate la FigliaGrande (ve l’ho detto che ha il DNA delle nonne?) davanti a un PiccoloPrincipe estasiato a sentire la storia di questa di questa Santa e della notte magica che, una volta, segnava il primo passo verso la stagione più luminosa . . .

Mi piace pensare che questa tradizione, che si tramanda nei secoli, si armonizzi bene anche con i tempi moderni.
Ho letto, girando su Googgle, di una tizia che ha scritto: “Io sono atea e non voglio che mia figlia festeggi S. Lucia (bambina in età di asilo N.d.A.)”  . . . mi piacerebbe sapere cosa fa con Hallowee e Babbo Natale.

Per Santa Lucia, vi regalo una filastrocca che cantavamo noi da piccoli e che avrebbe dovuto aprirci gli occhi . . .

Santa Lucia,
mamma mia,
con la borsa
del papà,
santa Lucia
arriverà!
Arriverà dalla finestra,
porterà una bella veste,
arriverà dal finestrino,
porterà un grembiulino

(Traduzione a spanne dal bergamasco, della sottoscritta!)

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