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Il Piave mormorava . . .

Il Piave mormorava mentre Francesco scendeva, col treno, dal nord al sud. Era da un po’ di mesi che il Piave mormorava ed era un po’ di mesi che Francesco era stato “richiamato” e mandato nelle regioni più a nord dell’Italia, tutte montagne intorno e lui aveva nostalgia del suo mare, della sua terra e della sua famiglia.
Era colpa della guerra, di quella guerra che poi i suoi figli, i suoi nipoti e i pronipoti avrebbero conosciuto come la “Grande Guerra”.

Pensandoci, si diceva, mentre il viaggio era scandito dal “tu tum, tu tum, tu tum” del treno, a lui non era andata poi così male: stava tornando a casa in licenza.C’erano stati altri suoi compagni che erano morti nelle trincee, sulla neve. Tra loro anche dei suoi compaesani, di quelli che conosceva bene.

La licenza non l’aveva chiesta lui, ma gliel’aveva concessa il suo tenente. Un tenente abruzzese. Quando aveva saputo che Francesco abitava nell’ultimo comune delle Marche aveva pensato a un buon sistema per aggirare la censura e far arrivare alla sua fidanzata una lettera senza che nessun’altro la leggesse.
Così aveva chiamato il sottoposto e gli aveva fatto una proposta: Francesco sarebbe tornato a casa, in licenza, per una settimana, ma prima doveva passare a Pescara e consegnare una lettera all’indirizzo che era scritto sulla lettera. Lettera che non doveva consegnare a nessuno che non fosse la signorina che aveva rubato il cuore del tenentino.
Poi, prima di tornare, doveva ripassare a Pescara, prendere la risposta della fidanzata per il signor tenente e poi, di corsa al fronte. In treno.

Tra andare e tornare da Pescara, consegnare la lettera, abbracci e coccole a moglie e figli, una visita in chiesa per ringraziare della protezione divina e implorare l’aiuto per i prossimi mesi, una sosta in piazza e all’osteria per raccontare ad amici e parenti le novità della guerra, un paio di visite ai parenti degli amici caduti al fronte e la settimana è finita in fretta e Francesco si trovò di nuovo sul treno per Pescara . . .”tu tum, tu tum, tu tum”

E da Pescara, con la lettera di risposta per il suo Tenente al sicuro in una tasca interna della giacca della divisa, di nuovo sul treno che va verso il nord . . . “tu tum, tu tum, tu tum”

Prima, al fronte, poco sonno. In quella settimana, a casa, poco sonno. Adesso, sul treno,  guardando il mare che si allontanava sempre più, dopo aver mangiato un po’ delle provviste portate da casa, dopo aver bevuto un bel bicchiere del vino del compare Giovanni, col sole che scaldava l’aria vicino al finestrino, Francesco si abbandonò al sonno.

Non era un uomo di lettere, il nostro contadino marchigiano prestato all’esercito, sapeva giusto scrivere il suo nome e il suo cognome, quando serviva. Gli avevano assicurato che quel treno andava al nord, gli avevano anche detto che a Bologna doveva cambiare treno, ma a Bologna lui dormiva e quando si svegliò non sapeva dov’era, ma chiedere gli sembrava “brutto”: era ammettere di non saper leggere. Sulle banchine si vedeva ancora gente in divisa e qualcuno saliva anche sul suo treno. Pensò di essere sulla strada giusta.

E mangiando ancora un po’ di pecorino col pane di casa e bevendo il solito vinello, un pisolino ogni tanto, si fece notte. Quando al mattino il treno si ferma Francesco scende e quando si trova fuori dalla stazione ha un attimo di smarrimento. Non tanto per l’abbigliamento così diverso da quello di casa o per il linguaggio che non capiva; anche nei paesi vicino al fronte la gente aveva “costumanze” diverse da quelle di casa sua: nel vestire, nel mangiare e, soprattutto nel parlare. La cosa che lo lasciava interdetto era il pane, invece che panini, pagnotte o pagnottelle, questa gente portava a spasso del pane lungo lungo . . . ma dov’era capitato?
Non poteva continuare a far finta di niente, doveva informarsi . . . come fu, non ci è stato raccontato, ma si dice che in giro per il mondo un’italiano lo trovi sempre. Finalmente il mistero fu svelato, era arrivato in Francia.  Un bel po’ lontano dal “suo” fronte. E adesso??? Avrebbe dovuto essere al suo posto quel giorno e invece . . .

Riprese un treno, con un foglio con le “istruzioni” che avrebbe dovuto far vedere al capotreno per essere sicuro di essere sul treno giusto. Quello che portava alle regioni interessate dalla guerra.

Finalmente Francesco, grazie alle Ferrovie Italiane, tornò al suo Reggimento. Ma là, dopo due giorni di ritardo, l’avevano già considerato disertore e la faccenda si era fatta grave. Per i disertori c’era la fucilazione. Francesco non si perse d’animo e chiese di parlare col Tenente. A cui, dopo aver consegnato la lettera della morosa, spiegò la sua avventura in terra di Francia, consegnando biglietti ferroviari e quel famoso foglio con le “istruzioni”, con i nomi delle città in cui aveva cambiato il treno. Tutto si aggiustò.

“E tacque il Piave si placaron le onde . . .”
Ormai era tempo di pace e Francesco riprese il treno, con altri mille e mille combattenti e tornò a casa, dalla famiglia. Riprese il suo lavoro nei campi. Ogni tanto raccontava di quella volta che aveva rischiato la fucilazione per un paio di lettere d’amore, nemmeno sue.